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canapa

La Canapa . 

Coltivazione della canapa in Europa nelle varie epoche, canapa inglese e canapa padana

2. Il collegamento fra canapa inglese e canapa italiana (e più precisamente della Pianura Padana) può ricercarsi in diversi contesti.

L’Inghilterra considerava la canapa italiana la migliore e per secoli l’Italia, subito dopo la Russia, è stata la maggior produttrice di canapa.

Mentre la canapa Russa era commercializzata nel Nord Europa soprattutto per i cordami e le vele, la canapa italiana veniva utilizzata in tutta Europa per le vesti, dapprima per vesti da lavoro e successivamente anche per vesti fini.

Ritroviamo a St-Denis a Parigi, nella tomba della regina Arnegunde, una veste funeraria di canapa tinta con indaco e di probabile origine italiana (565 e 570 d.C.) e ciò la dice lunga sull’utilizzo della canapa nelle vesti.

La canapa tra l’altro, al contrario del cotone e del lino, con l’uso diventa sempre più morbida e si adatta meglio al corpo.

Queste considerazioni hanno lo scopo di indicare le basi per alcune ipotesi sul collegamento tra semi inglesi e semi italiani, questi ultimi molto apprezzati dagli inglesi ed utilizzati nelle loro coltivazioni.

Come sono arrivati i semi italiani in Inghilterra e nella zona dell’East Anglia? e perché proprio in quella zona?

Eliminiamo subito ogni interrogativo sulla zona: i semi vanno dove è possibile la coltivazione e la canapa ha bisogno di zone umide come la Pianura Padana e come le Broadlands dell’East Anglia.

E questa non è un‘ipotesi, è un dato di fatto ben riscontrabile nei ritrovamenti archeologici e nelle cronache degli storici, nelle leggi emanate dai sovrani, dai feudatari nel passato.

Per quanto riguarda la possibilità che i semi della Pianura Padana siano giunti in East Anglia le ipotesi possono essere diverse e tra loro interconnesse.

Le più interessanti che ci vengono alla mente sono legate allo spostamento di popoli o per guerre di conquista o per fatti religiosi.

Tra la fine del duecento e i primi del trecento, nascono le prime bande mercenarie, cavalieri senza terra, esuli, vagabondi, contadini, servi o schiavi fuggiaschi, disposti ad uccidere per campare.

Molti calano dal Nord e Centro Europa in Italia al seguito dei vari re ed imperatori, vivendo di rapine e di saccheggi, spesso al soldo di qualche capitano del popolo, che li chiamava a combattere per questo o per quel comune.

Il fermento di guerra instauratosi tra Impero e Papato, tra feudatari, tra piccoli proprietari, aveva di fatto aumentato il numero di questi soldati di ventura che si spostavano via via da uno stato all’altro, da una zona all’altra, per servire un signore contro un altro, sulla base del soldo che potevano guadagnare.

Tra le compagnie divenute in quel periodo più famose, vi fu quella guidata dall’inglese Giovanni Acuto [24] , che dopo le prime esperienze militari in Francia a Poitiers al seguito del Principe Nero (1356), nella guerra dei cent’anni, arrivò in Italia nel 1361.

Combatté in Piemonte, si mise poi al servizio dei Visconti e si trasferì a Firenze dove trascorse il resto della sua vita e vi morì nel 1394 ed ebbe funerali di Stato.

Più tardi il re d’Inghilterra richiese le sue spoglie che ritornarono al suo luogo di nascita. Firenze non volle dimenticare il condottiero[25] e lo fece immortalare da Paolo Uccello, in un famoso affresco sulle pareti della cattedrale.

Nel 1493 Massimiliano d’Asburgo consentì ai vari principi di evitare la formazione di eserciti di sudditi, ma di costituire truppe composte di professionisti, ben equipaggiati e retribuiti.

Nei secoli successivi, XVI e XVII, scendono dalla Svizzera, Germania renana, Fiandre bande di popolani, usi a duri lavori e vogliosi di cimentarsi in battaglie:

i Lanzichenecchi sono i più richiesti per la formazione di bande regolari. lanzichenecco

Anche i loro vestiti li distinguevano: calzoni e giubbe di lana o pelle, sopra una veste con corte brache imbottite di crine di cavallo e feltro, una panzera di cuoio a proteggere il davanti del corpo e dietro un corsetto di cuoio bollito.

Era sparita la pesante armatura, le cosce erano protette da lamine metalliche e l’elmo sostituito da un capello foderato anch’esso di lamine.

Quindi i soldati, scesi in quei secoli dal Nord più freddo, dapprima ricoperti di pesanti armature, sotto le quali avevano vestiti di cuoio e lana, e successivamente con abiti di pelle conciata ed armata, arrivati nelle zone più calde, si può pensare che sostituissero i corpetti di pelle con corpetti di tessuti più leggeri, ma morbidi, per attutire l’attrito derivante dal ferro con cui erano costruite le armature o i giubbotti armati.

Il tessuto di canapa, che riescono ad ottenere dai contadini, o rubano ai contadini durante le loro scorrerie, si può senza dubbio ritenere il materiale più adatto per il nuovo vestiario.

Ritornati di volta in volta al nord portarono questi tessuti con loro e senz’altro furono spronati dai coltivatori e dai tessitori a procurarsi poi i semi per iniziare una coltivazione migliore nelle loro terre.

Questa ipotesi può essere confutata, ma si sa che qualunque guerra ha mescolato gli usi dei popoli contendenti…

La coltivazione non ha nessun nesso in tutto ciò? Come poteva crescere bene la canapa al Nord a temperature inferiori di quelle italiane, anche se abbiamo visto che il terreno era compatibile?
Ci si dimentica sempre che i paesi che la coltivavano erano e sono tuttora paesi umidi, vicini al mare, Mare del Nord, dove la Corrente del Golfo mitiga notevolmente il clima, rendendolo meno rigido in inverno, con gelate meno lunghe che nelle pianure italiane. Il caldo estivo non è così intenso come nella Pianura Padana, quindi il ciclo riproduttivo non sarà della stessa lunghezza, ma la fioritura arriva prima, anche se la maturazione risulta più prolungata.

Abbiamo parlato di soldati di ventura al soldo di piemontesi, di fiorentini, dei Visconti, di truppe di Lanzichenecchi, non possiamo non parlare ora degli Ugonotti[26] che si spostarono in Inghilterra proprio a cavallo del XVI-XVII secolo nell’East Anglia e che erano la maggior parte lavoratori di tessuti e tintori . Si trasferirono in Inghilterra a causa delle persecuzioni subite durante le guerre religiose avvenute in Francia nel periodo dal 1560 e il 1629, che ebbero il culmine nell’efferatezza della famosa notte di San Bartolomeo del 23 agosto 1572, nella quale migliaia di protestanti furono trucidati.

 

massacro, part.

Massacro di S. Bartolomeo di Dubois, particolare

Gli Ugonotti erano abili tessitori e quindi furono ben accolti dall’Inghilterra: in varie città della costa esistono vie o quartieri i cui nomi ricordano questi emigrati e il loro lavoro. Abbiamo a Colchester il quartiere tedesco, Dutch Quarter, dove i tessitori vivevano; a Norwich esiste la Strangers’ Hall, abitazione di ricchi mercanti di tessuti, e la Blackfriars Hall che anticamente era la Dutch Church[27] .
Da tessitori della zona nord dell’Impero questi lavoratori trasferirono le loro esperienze nell’isola e molto probabilmente, in dote, anche un certo quantitativo di semi per la produzione di canapa migliore, soprattutto per le vesti, le camicie e la biancheria da casa. L’ipotesi che questi semi fossero di provenienza mediterranea arrivati con i soldati di ventura, di ritorno dalle guerre al seguito dei vari principi, non è pertanto tanto irrazionale.

Per la tela da usarsi per le vele delle navi e per i sacchi per immagazzinare i raccolti abbiamo già ricordato che veniva per lo più usata canapa più scadente proveniente dal Baltico.

3. Se nella Pianura Padana la coltivazione della canapa per la fibra tessile aveva avuto inizio fin dall’epoca romana, nell’economia dell’Europa medievale gioca un ruolo importante l’industria tessile, concentrata soprattutto in Italia e nei Paesi Bassi e quindi ancora si evidenzia un collegamento tra Mediterraneo, Nord Europa ed Inghilterra.

Le varie fasi della lavorazione avvenivano in luoghi diversi: il mercante investiva capitali per l’acquisto della canapa da lavorare e coordinava le varie fasi produttive, svolte nelle botteghe artigiane o al domicilio dei lavoranti, e si interessava poi di inviare i prodotti verso i vari mercati.

La lavorazione della fibra per tessuti in Italia era affidata da sempre alle donne, che svolgevano il lavoro di filatrici e tessitrici di canapa presso le loro abitazioni.
Erano per lo più vedove con figli o zitelle: il lavoro svolto in casa permetteva loro di accudire ai lavori domestici e alla famiglia.
tessitura e filaturaeconomia domestica nel contado

Da documenti dell’archivio storico di San Giorgio di Piano, Bologna, si rileva che il lavoro era organizzato: in inverno per 6 ore di giorno e 2 ore di notte e per 12 ore in estate.
Il salario giornaliero era di 0,60 lire in inverno e di 0,80 lire in estate e il lavoro si concentrava nei mesi da settembre a marzo.

Ampio era il mercato per la canapa italiana prodotta nella pianura padana.
Richiestissima anche la canapa grezza e semilavorata, che lasciava l’Italia dai porti di Venezia, Livorno, Genova.

Nel commercio della canapa emiliana, del bolognese in particolare, assunse massima importanza il mercato montano di Bagno (Porretta Terme).
Dal 1410, in Piazza delle Tele a Bagno, era possibile commerciare canapa e derivati senza pagar dazi: la piazza era porto franco.
Non esisteva l’esazione di tasse sulla canapa, ciò portava per coloro che vivevano attorno al mercato grande profitto.
Il mercato canapicolo era poi implementato dal commercio di altri prodotti come vini, oli, corde ed altre masserizie, spesso derivate dalla canapa e dai suoi residui; raggiungevano poi il mercato di Bagno altri prodotti provenienti dai villaggi della montagna vicina.

Nel 1585 la Gabella Grossa di Bologna si inserì nel mercato con grande malcontento dei lavoratori di Bagno[28] : si voleva togliere a Bagno il porto franco.
Il conte Ranuzzi, signore di Bagno, cercò di mantenere il porto franco almeno da Bologna alla Porretta, ma la Gabella Grossa di Bologna cercò di far pagare la tassa prima che la canapa raggiungesse la strada della montagna e il confine con la Toscana.
La gabella alimentò anche il contrabbando, perché venne confermata l’esenzione solo per i lavoratori di tele residenti in Bagno.
Gli stranieri, e stranieri erano anche quelli che abitavano a pochi chilometri da Porretta, come ad esempio Castelluccio (Canavaio)[29] , Borgo Capanne, ecc., non erano esenti e venivano espulsi dal mercato. Le tele allora venivano vendute sottobanco, al di fuori del mercato del sabato, il venerdì sera, ai bordi di piazza delle Tele, per non pagare la gabella imposta agli stranieri.
Le cose migliorarono quando nel 1699 i Ranuzzi divennero Senatori.

Nel 1710-11 la Gabella Grossa Bolognese pretese ancora che venisse riproposta la tassa su tutto il territorio, ma la comunità si ribellò. Si arrivò ad un compromesso con l’esenzione per quantitativi sino a 60 mila libbre di canapa per il solo Bagno, ma la richiesta nel mercato era molto superiore. A quel punto dalla Toscana iniziarono acquisti direttamente sul mercato di Bologna.
Solo sotto il Legato del Cardinale Boncompagni, con il progetto di riforma del sistema impositivo (1780) e la costituzione di un nuovo catasto (1785) [30], si eliminò la gabella sia per Bagno che per Bologna.

4. Per quanto riguarda l’uso dei semi di canapa come medicinale o cibo, sin dall’anno mille i paesi arabi e mediterranei avevano imparato ad usare i semi della pianta come medicina e corroborante, ma già nel tardo XII secolo in Spagna ne fu vietata l’ingestione; mentre in Francia ne fu vietato ogni uso medicinale nel XIII secolo. Infine, nel 1484, una Bolla papale ne proibì l’uso ai fedeli, non riuscendo comunque ad impedirne l’uso e la diffusione nel nord-Europa.
Nel Medioevo erano in circolazione diversi preparati a base di cannabis; d’altra parte verso il 1500 i viaggiatori di ritorno dall’ Africa e dall’Asia ne introducevano in Europa l’uso come medicinale antidepressivo.

Il famoso The Anatomy of Melancholy del sacerdote inglese Robert Burton (1621) la consigliava per il trattamento della depressione.
L’applicazione di radici di hemp per infiammazioni della pelle, descritto nel New English Dispensatory del 1764, era un rimedio ben noto alle popolazioni dell’ Europa orientale.

Le virtù terapeutiche della pianta acquisirono ulteriore fama e diffusione in occidente grazie al giovane professore indiano W. B. O’Shaughnessey. In uno scritto del 1839 egli descrisse usi e benefici della cannabis appresi in India, e riportò in scritti, largamente diffusi, i risultati di numerosi esperimenti di cure con medicinali a base di canapa su animali e persone in malattie quali rabbia, reumatismi, epilessia, tetano: le cure erano state coronate da indiscutibile successo.
gli definì la cannabis “il perfetto rimedio anticonvulsivo“, analgesico e rilassante (1842).

Anche il medico della Regina Vittoria la usava regolarmente per la sua paziente, e preparazioni a base di cannabis si potevano acquistare regolarmente nei drug stores.

La letteratura scientifica produceva precisi rapporti sui benefici riscontrati, e nel 1860 fu presentata una relazione di fronte all’Ohio State Medical Society in cui si descriveva l’efficacia della cannabis per tetano, dolori vari, dismenorrea, convulsioni, epilessia, gonorrea, reumatismi, nevrosi, parti difficili, asma, bronchiti.

5. La migliore canapa usata da secoli come fibra, olio, carta e come medicinale si può quindi affermare provenisse dalla pianura Padana e di questo ne erano consci i proprietari terrieri che la producevano.

Alla Esposizione Generale Italiana che si tenne a Torino nel 1884 la giunta del Mandamento riunito presso il municipio di San Giorgio di Piano, Mandamento che comprendeva, oltre a San Giorgio di Piano, Argelato, Castel d’Argile, Galliera e San Pietro in Casale, decise di inviare al Comitato Esecutivo dell’esposizione due casse contenenti 3 fasci di canapa verde ed altrettanto di canapa lavorata, riuniti in apposito involto: “…la canapa che è il principale prodotto, le raccomandiamo vivamente che venga collocata in modo da essere apprezzata come si conviene. Converrà quindi svolgere bene i campioni della canapa lavorata e situarla in condizioni buone di luci e di spazio per metterne in evidenza la finezza e la lucidezza…” era la raccomandazione che accompagnava le casse.
Importante questione per i proprietari terrieri, nei primi decenni del 1800, era il trasporto del prodotto oltre che ai mercati vicini anche ai mercati esteri. Il problema era valicare facilmente le Alpi per raggiungere i mercati del centro Europa e gli Appennini per utilizzare i porti italiani ai quali attraccavano navi straniere, vicino ai quali, per altro, erano cartiere, industrie tessili e manifatture varie che utilizzavano la canapa.

I proprietari terrieri si erano attivati da tempo per poter avere una strada ferrata italiana unitaria che valicasse le Alpi e Cesare Cantù indicava come nodo di raccordo dei vari tronchi utili a servire le varie regioni proprio Bologna, tale ipotesi venne realizzata decine di anni dopo.
La canapa italiana quindi andava verso il Nord Europa, ed inoltre vi erano porti nell’Ovest dell’Italia (Genova, Livorno), che avevano possibilità, abbiamo visto, di commercializzare la canapa con paesi d’oltre oceano e anche con la parte costiera europea.

Si richiedeva da parte dei produttori padani una strada ferrata che unisse la costa adriatica alla costa tirrenica, che partisse da Ferrara e passando per Bologna, attraverso i territori della pianura e della valle del Reno, arrivasse al Tirreno e cioè un progetto di ferrovia transappenninica.
Lo Stato Pontificio tardò a porre in pratica le indicazioni suggerite. Papa Gregorio XVI aveva una particolare avversione per le strade ferrate e le finanze pontificie, secondo il Pontefice, non erano in grado di sostenere tali spese in quel momento.

Gli industriali della montagna pistoiese, in particolari i fratelli Cini, proprietari di una cartiera a San Marcello Pistoiese, ai confini con il territorio bolognese, e quindi forti consumatori di cellulosa prodotta con la canapa, avevano anche fornito un progetto con un tragitto che avrebbe costeggiato la valle dell’Ombrone in territorio toscano per poi proseguire come richiesto dai canapicultori nel territorio emiliano.
Bologna e Ferrara esportavano “annualmente di sole canape 30 milioni di libbre (circa 10.000 tonnellate) e di cenci circa 3 milioni, non che buona parte dei 20 milioni di riso oltre a grandi quantità di tartaro ed altri prodotti……e importavano oltre 12 milioni di libbre di coloniali, ferro, piombo, pesce salato, olio, manifatture”; d’altra parte la Toscana esportava “sete, granaglie, formaggi, butirro, bestiami bovini ed altri prodotti”.

Tommaso Cini, che aveva studiato da ingegnere, con il suo progetto prendeva in considerazione e risolveva le problematiche del territorio montuoso tra la Toscana e l’Emilia. Il territorio bolognese doveva essere collegato sia con i porti del Tirreno che con quelli dell’Adriatico, ma il Papa considerava la locomotiva …“frutto dell’opera del demonio”[31].

Non erano ascoltate le richieste della società bolognese, in particolare nelle persone del nobiluomo Ludovico Bentivoglio e del marchese Camillo Pizzardi, che, avendo terreni a coltivazione intensiva nel territorio tra San Giorgio di Piano, Bentivoglio, Argelato, San Pietro in Casale, auspicavano trasporti più agevoli di quelli a trazione animale o attraverso i vari canali che attraversavano la pianura.
Il Papa si oppose sempre alla costruzione di strade ferrate sul suo territorio.

I Cini ottennero nel 1845 il permesso del Granduca di Toscana per compiere studi per la linea Pistoia-Confine Pontificio e progettarono la costituzione di una società anonima che avrebbe emesso azioni al fine di raccogliere i fondi necessari per la costruzione della strada ferrata. Al fine di convincere anche il Papa, i Cini tentarono di coinvolgere il cardinale legato di Bologna inviandogli i vari progetti, tra i quali anche l’utilizzo della valle del Panaro.

Contemporaneamente ai progetti dei fratelli Cini si erano sviluppati altri progetti di tecnici toscani, come quello attraverso le valli del Bisenzio e del Setta, che doveva collegare Prato a Bologna passando per il valico di Montepiano.
Per quanto riguarda il territorio emiliano e i tecnici bolognesi, l’ingegner Pietro Pancaldi nel 1842 proponeva ai soci della Società Agraria una linea ferrata che congiungesse il Po con il Tirreno, attraverso Bologna, Ravone, superando il confine toscano alla Venturina.
Nello stesso tempo Carlo Alberto Pichat [32], che si rendeva conto del ritardo industriale italiano specialmente nello Stato Pontificio e delle condizioni dell’agricoltura bolognese, parlava alla Conferenza Agraria e proponeva scuole, condotte mediche e farmacie gratuite per migliorare la vita dei lavoratori dei campi, auspicava una proporzione diversa per mezzadri e braccianti essendo a quei tempi il bracciantato e il piccolo artigianato del 41% dei lavoratori agricoli, la mezzadria il 46% e i proprietari e i borghesi il 13%. Proponeva per i braccianti, che sarebbero rimasti senza lavoro per la trasformazione di molte colture, la possibilità di essere occupati “nelle opere idrauliche e nell’auspicata costruzione delle strade ferrate”[33].

I possidenti terrieri e i commercianti con i ricchi mercati dell’Europa occidentale e dei paesi oltreoceano avevano come unico sbocco per le loro merci la costa Adriatica, e i politici ed economisti dello Stato Pontificio avevano il problema della sussistenza dei lavoratori stagionali della pianura, ma soprattutto quella degli abitanti del versante appenninico, che vivevano di allevamento di ovini e di raccolta di legna e castagne e premevano per l’apertura di una strada transappenninica di facile utilizzo.
Le nuove strade carrabili della Porrettana e di Castiglione non avevano migliorato l’economia montana, erano percorribili con carri e carrozze in tempi molto lunghi e dispendiosi, inoltre i lavoratori percorrevano giornalmente le distanze dalle loro case ai posti di lavoro a piedi.

Solo l’avvento di Pio IX permise un primo passo alla risoluzione del problema.
Il nuovo Papa aveva un atteggiamento opposto a quello del suo predecessore, ma considerò solo le linee che avevano sviluppo nel territorio pontificio come la Bologna-Ancona-Roma, la Roma-Terracina, la Roma-Civitavecchia e che facevano capo a mercati o a  porti pontifici.
Il nodo ferroviario bolognese, anche se in territorio pontificio, era il luogo più vicino ai porti del Tirreno e i proprietari terrieri del bolognese volevano utilizzare i porti di Livorno e soprattutto di Genova, dal quale partiva la tela utilizzata per i vestiti degli operai in America (jeans) e la carta prodotta dalle cartiere liguri, clienti di cellulosa proveniente anche dalla canapa [34] .
Malgrado le sollecitazioni dei politici bolognesi e del Granduca di Toscana per una linea Ferrara-Livorno e una Convenzione internazionale nel 1851, convenzione che doveva riunire gli sforzi di tutti per la costruzione di una strada ferrata dell’Italia centrale che avrebbe unito Piacenza, Parma e Reggio da una parte, Mantova e Modena dall’altra, poi Bologna, Pistoia e Prato, e che prevedeva da parte dei firmatari [35] la costruzione all’interno dei loro territori di linee di collegamento a questo asse principale, i tempi d’attuazione furono lunghi.
La costruzione del tratto Bologna-Ferrara, che economicamente era forse il più importante andò a rilento (1862) e il tratto appenninico fu terminato dopo l’unità d’Italia, nel 1864.

Tutto questo a dimostrare la preminenza sul mercato Europeo e d’oltreoceano della canapa padana.
Solo le leggi instaurate contro il suo utilizzo come medicinale ed eventualmente droga ne hanno frenato la produzione e poi l’hanno eliminata del tutto.

Anche se spesso si vuol dire che la coltivazione della canapa comportava sacrifici notevoli per i coltivatori in termini di fatica e salute e quindi era logica la sua estinzione, ora questo aspetto sarebbe del tutto eliminato.
Vengono coltivate piante diverse, che non hanno più bisogno della macerazione, piante che si seccano ancora avvinte al terreno e pronte all’uso al momento della completa maturazione.
La produzione della canapa sta ritornando, canapa completamente utilizzata, si spera, e non solo per i tessuti per i modelli degli stilisti, come Armani, che ora ritornano a disegnare abiti da realizzarsi in morbida canapa.
Canapa che fornisca tutti quei prodotti che abbiamo elencato all’inizio di questo scritto.

I maceri rimasti nella pianura del Reno, che ancora brillano sotto il sole come specchi, sono ora vincolati dalle Autorità paesaggistiche e quindi rimarranno a ricordo dei vecchi tempi.


Ulteriore Bibliografia

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Le fonti bibliografiche sull’Italia nei vari periodi sono talmente numerose che ovviamente non possono essere state consultate in maniera esaustiva, ma solo facendo riferimento alle opere sul contado e all’economia propria della coltivazione canapicola, di cui è già stata data indicazione nel testo stesso. Per avere un quadro più completo si può fare riferimento a “Storia e Storie d’Italia “, Newton & Compton Editori, 1998, dove in volumetti a nome di Antonelli G., Gatto L., Carocci G., Frediani A. , sono riportate numerose indicazioni di bibliografia essenziale.
Ringrazio la Direzione e lo staff del Museo del Tessuto di Norwich per l’aiuto datomi nel reperire la bibliografia relativa all’East Anglia.

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[21] “Hemp spread from its original habitat in central Asia and adapted itself to a variety of rich soils in many parts of the world, Italy producing some of finest qualities” da Baines Patricia : “Flax and Linen” , Shire Publications Ltd.
[22] Se la canapa appena tessuta sembra più dura degli altri filati ciò è dovuto principalmente al metodo di lavorazione iniziale. La canapa filata non è così compatta come il lino e il cotone e quindi la tessitura risulta laboriosa per il continuo intersecarsi delle fibre tra loro. Chi tesse canapa normalmente tratta il filato con un bagno o con una spazzolatura con acqua e crusca in modo che i fili stiano tra loro uniti. Quando il filo è asciutto risulta quindi più duro, ma tale durezza si elimina alla prima lavatura. A volte il filo di canapa, non ripulito bene dalle parti legnose, può contribuire ad ottenere un tessuto con residui, ma allora si parla di filato non ben trattato e di qualità inferiore.
[23] Se mettessimo ad Ovest dell’East Anglia una catena montuosa, avremmo un’altra Pianura Padana con fiumi, rivi, canali, e nel passato abbastanza recente, con colture simili.
[24] Nome italianizzato di John Hawkwood (viene riportato anche con i nomi di Giovanni della Guglia; Giovanni Haucoud, Haucinod, Haucwod, Haukudt, Haukebbode). Proveniente da Hedingham Sible, presso Colchester, dove nacque nel 1320, in Italia ebbe la possibilità di farsi valere ottenendo anche vari titoli per le città conquistate per conto dei signori che serviva in armi con i suoi seguaci. Alcuni dei titoli che vengono ricordati sono: Signore di Bagnacavallo, di Cotignola, di Conselice, di Bertinoro, di Faenza, di Massa Lombardia, di Sant’Arcangelo, solo nella zona emiliano-romagnola. Genero di Bernabò Visconti di cui sposò una figlia naturale; cognato di Carlo Visconti, venne fatto anche baronetto.
[25] Condottiero, da condotta, il contratto che veniva fatto tra il capitano di ventura e il signore al servizio del quale si metteva con i suoi soldati.
[26] Appellativo dei protestanti francesi di tendenza calvinista.
[27] Migliaia di Ugonotti cercarono rifugio in Inghilterra, Germania, Olanda, Svizzera e nelle colonie inglesi nordamericane del Massachusetts, New York e South Carolina; altri rimasero in patria, sistematicamente avversati dalla corona. Solo con l’Illuminismo cessarono le persecuzioni: i protestanti francesi riguadagnarono gradualmente i diritti loro negati, e solo l’editto del 1787 garantì loro di nuovo i pieni diritti civili.
[28] A quei tempi erano registrati come lavoratori in canape 131 capifamiglia.
[29] Si riporta qui il toponimo Canavaio di Castelluccio, in quanto è indicativo della lavorazione che veniva fatta in quei luoghi: lavorazione della canapa grezza e poi filatura e tessitura. E’ tuttora esistente a Castelluccio di Porretta Terme un gruppo di edifici rurali della fine del secolo XVI che porta tale nome.
[30] Il catasto Boncompagni del 6 febbraio 1785 era un catasto geometrico particellare, a stima peritale indiretta (formato cioè su tariffe comunali). Tutti indistintamente, ecclesiastici e secolari, con l’esclusione di qualsiasi privilegio, avrebbero dovuto essere sottoposti alla pagamento di una imposta sugli immobili. L’imposizione permetteva di frenare le evasioni e di compattare le innumerevoli altre imposte e tasse. Ma anche in questo caso, come per il primo campione del 1715, non si ebbe una attuazione del progetto.
[31] Renzo Zagnoni, Gian Paolo Borghi, Andrea Ottanelli e Renzo Pocaterra : “La Ferrovia Transappennina. Il Collegamento nord-sud attraverso la Montagna Bolognese e Pistoiese (1842-1934)”.ed.Gruppo di Studi Alta Valle del Reno, Porretta Terme (BO), 2001
[32] Carlo Poni: ”Fossi e Cavedagne Benedicon le Campagne” ed. il Mulino, Bologna 1982 [33] “Quando m’avviene di impiegare 40 ore per trascorrer le 60 miglia che congiungon Firenze da Bologna…e quando per trasportar marmo da Livorno a Firenze impiegansi 50 animali e un intero dì per ogni miglio, rovinando la strada e spendendo mille toscane lire per miglio….io grido: alle strade di ferro, ai molini a vapore,…Avanti!”
[34] Si dice che la carta sulla quale venne redatta la Magna Charta Libertatum degli inglesi, che re Giovanni Senza Terra firmò nel 1215, fosse di fabbricazione genovese. E’ certo che il prodotto cartario genovese fosse così pregiato da poter ottenere poi tra il Cinque e Seicento il monopolio sul mercato europeo. La carta fabbricata nel territorio della Repubblica genovese veniva usata alle corti e nelle cancellerie di Spagna e Inghilterra, perché considerata la più solida e l’unica a resistere ai tarli, un pregio questo che derivava dal fatto proprio che nella sua produzione venivano usati stracci di lino e di canapa.
[35] Nella Convenzione non si inserì mai lo stato Piemontese, mentre lo stato Austriaco ebbe un influenza notevole nell’attuazione dei progetti nel Lombardo-Veneto.

(*) pubblicato in forma cartacea sulla rivista:
Nuèter (noialtri)- Storia, tradizione e ambienti dell’alta valle del Reno Bolognese e Pistoiese, N. 66-2007, N.2 – ANNO XXXIII